Perché è necessario cambiare il modo di curare e l'erogazione delle prestazioni
La prima condivisibile preoccupazione di un Paese che invecchia è la Sanità e in questa prospettiva le condizioni del Servizio sanitario pubblico tra reparti di pronto soccorso congestionati e lunghe liste d’attesa non sono rassicuranti.
Meno condivisibilmente le forze politiche si dividono sulle risorse da destinare per fronteggiare la situazione per almeno per due motivi: il primo è che si tratta di una esigenza generalizzata rispetto alla quale tutte le forze politiche dovrebbero collaborare anche per eliminare gli errori del passato. Se infatti c’è un argomento bipartisan per eccellenza, quello prioritario e indifferibile è senza ombra di dubbio la tutela della salute, soprattutto al cospetto di un Servizio sanitario che è il primo malato, e perché, ovviamente, la salute è ricchezza non solo della persona ma anche del Paese, come recita la Costituzione all’articolo 32.
Il secondo motivo è che non è solo una questione di risorse: infatti Francia, Germania e Spagna, tanto per fare degli esempi, vivono le stesse criticità pur contando su risorse finanziarie maggiori. Il caso della Germania è emblematico e deve farci riflettere: ha speso per la salute dei propri cittadini oltre 400 miliardi nel 2022 a fronte dei nostri 131, con una spesa pro capite di quasi il doppio rispetto all’Italia (6.400 euro verso 3.050).
Quindi, non basta aumentare il finanziamento pubblico perché se ora mancano i medici per soddisfare la richiesta di servizi sanitari in crescita esponenziale (una delle cause), nemmeno l’aumento del personale risolverà il problema se non si interviene sui motivi di questa aumentata richiesta di prestazioni, molte delle quali ancora oggi inappropriate per il malato e inutilmente costose per lo Stato.
È fondamentale dunque, oltre che urgente, individuare la causa che ha messo in ginocchio il nostro modello sanitario e in questo senso è difficile negare che quella principale sia l’organizzazione che eroga i servizi. In altre parole, non è tanto con quante risorse si cura, ma piuttosto come si affrontano i problemi di salute dei cittadini e come si organizza la cura nel territorio e negli ospedali.
A oltre quaranta anni dalla istituzione, il Servizio sanitario nazionale è entrato in crisi proprio perché il modello sul quale era stato concepito e che ha funzionato correttamente per decenni, è diventato inefficiente nel rispondere agli attuali bisogni di cura che, spinti da uno scenario di invecchiamento progressivo della popolazione e dai forti incrementi dei costi della ricerca scientifica, richiedono una profonda riforma e un rapido adeguamento. In particolare, incentivata dal progresso scientifico e da una tecnologia in rapida evoluzione, la medicina moderna è diventata sempre più specialistica e ha indirizzato l’interesse sulla malattia e sui sintomi piuttosto che sul malato e sul problema generale di salute; la cura è diventata frammentata e spesso in discontinuità all’interno dell’ospedale e tra l’ospedale e il territorio. In questo contesto, la persona malata si sposta da una prestazione all’altra con specialisti e spesso luoghi diversi diventando spettatrice disorientata e impotente della propria malattia piuttosto che un alleata di chi la cura.
Non è un caso che è sempre più frequente il richiamo alla disumanizzazione della cura o, in positivo, alla necessità di umanizzarla ma anche gli operatori sanitari più bendisposti, più “umani” (e ce ne sono tantissimi) trovano l’ostacolo principale al proprio lavoro in una organizzazione inadeguata e insufficiente. Ultimo aspetto, ma non meno importante nello scenario di questa crisi, è la perdita di sostenibilità economica di un modello organizzativo che genera sprechi e ritardi nell’erogazione dei servizi.
Dunque, cambiare il modo di curare e l’erogazione delle prestazioni è la priorità e l’urgenza per il nostro Servizio sanitario, e un tale cambiamento non può essere una semplice evoluzione, ma deve essere una autentica rivoluzione. In particolare, è necessaria una transizione dal modello attuale, centrato sulle singole prestazioni, a quello focalizzato sul malato e sul relativo problema di salute ma perché ciò accada occorre, in primis, un cambio di mentalità a partire dai percorsi formativi nelle facoltà di Medicina, un adeguamento degli strumenti gestionali negli ospedali e sul territorio e un assetto normativo univoco per evitare una frammentazione tra le diverse realtà regionali.
Una recente esperienza sulla possibilità di adottare nuovi modelli organizzativi in tempi brevi è stata la pandemia Covid nella quale, per ragioni infettive, l’organizzazione degli ospedali ha collocato il malato (e non le singole prestazioni) al centro delle cure.